Il pesce gatto by Jerome Charyn

Il pesce gatto by Jerome Charyn

autore:Jerome Charyn [Charyn, Jerome]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Marco Tropea
pubblicato: 1997-05-14T16:00:00+00:00


4

Avevo la mia racchetta. Avevo le mie scarpe da ping-pong. Harry non poteva nulla contro di noi, me e Paul. Stavamo diventando famosi. Veniva gente da ogni parte a sfidare i campioni del West Side. Non riuscivano a prenderci sul serio. - Un ragazzino, - dicevano, - e una mezza sega con le tempie grigie.

Li lasciavamo divertire. Si preparavano a servire ridacchiando. Si davano colpetti sulle spalle e confabulavano di strategie. Dopodiché noi gli strappavamo le budella. Il piccolo Paul sapeva dove spedire il colpo, senza bisogno di stare tanto a parlottare. Era padrone del campo. Gli saltavo intorno, un fantasma svolazzante che rilanciava pallonetti, di modo che il nanerottolo avesse quell'attimo in più per piantarsi bene su quel suo paio di caviglie da cavallo a dondolo e spararti una palla in bocca.

Nessuno aveva scampo. Il nanerottolo era troppo forte, troppo scaltrito. Aveva in sé il genio di Morphy, quella rara abilità di sfracellarti, di spezzarti in due senza batter ciglio. Era un innocente. Come lo sono di solito gli assassini. E i suoi progenitori? Nemmeno uno zio creolo nella galleria degli antenati? E dove erano la sua mamma e il suo papà? Nessuno veniva a prenderlo dopo le nostre vittorie. Asciugava la sua racchetta, la infilava in una custodia di plastica e usciva dalla cantina di Reisman.

Andava a scuola? Il nanerottolo non ne parlava. Animali in casa o preoccupazioni non ne aveva. Scendeva giù al Circolo e giocava. Ma da cosa si poteva capire che era ancora un bambino? Tempie grigie era molto più infantile del piccolo. Eppure la stranezza di Paul, l'assenza di persone che badassero a lui mi davano pensiero.

- Dai, vieni che ti offro un dolcino, oppure una Coca, se vuoi.

- Non ho fame, - diceva. - Ma se proprio muori, Charyn, mangiali tu i dolci.

- Vedo roba da mangiare notte e giorno… ali di pollo. Quando vengo qui preferisco stare a digiuno.

- Be', anch'io.

Smisi di cercare di appiccicargli un padre. Magari di mamme e di papà Paul non sapeva che farsene. Ma il piccolo si rivelò meno tosto di quel che pensavo. Da Reisman si presentarono due fratelli e, quando li vide, a Paul venne un colpo. Con quei riccioli neri e le sacche marroni del Circolo di Harvard-Cambridge non c'era da sbagliarsi. Ephraim e Lewis, i Dunstan. Ephraim era il campione americano di singolo, e Lewis, il fratellino, era il numero tre. Portavano polsini e fasce gialle sulla fronte. La voce del «micidiale doppio di Reisman» doveva aver raggiunto Harvard Square. I Dunstan erano venuti da Boston per battersi contro di noi.

Ephraim e Lewis estrassero dalle custodie le loro racchette rosse. Le nostre erano verdi. Paul si era acquattato in un angolo e parlottava fra sé, un pallido omettino con la sua Butterfly. Era proprio abbacchiato. Non so rispondere ai colpi a effetto di Ephraim. Nessuno ne è capace.

- Ci pisciamo sopra ai suoi colpi a effetto, - dissi. - Gli faremo ingoiare la pallina.

- Già, intanto sono io quello che gioca, che gioca per davvero.



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